Domani

Come immagini il mondo dell’architettura dopo l’attuale crisi virale?

 

Ci siamo accorti da tempo che il prima non funzionasse più, il virus ne è solo la cartina tornasole: avevamo da tempo, noi architetti in primis, abdicato alle esigenze reali della persona e della comunità, affascinati da gesti estetici ed egotici, indifferenti ai contesti in cui calavano, tanto da farne non-contesti.
Per questo forse siamo sempre più convinti che il dopo dovrà essere altro, per quanto oggi, nell’isolamento coatto che stiamo sperimentando, non abbiamo né dati, né certezze né lucidità sufficiente per immaginare cosa perderemo e cosa invece valorizzeremo.

Possiamo osservare e riflettere però su quali saranno i paradigmi del prossimo futuro, ai quali l’Architettura, come tutta la comunità civile, è chiamata a dare risposta.

Un tema etico.

Il labilissimo equilibrio fra la precauzione di stato che chiede limitazioni delle libertà fondanti della persona in virtù della salvaguardia della salute collettiva da un canto e dall’altra la biologica e confortante necessità di contatto umano e di condivisione diretta delle esperienze, palesemente in crisi già ben prima dell’emergenza virus, perché sempre più trasposta nella dimensione virtuale del web.
Dovremo rinunciare ai riti culturali collettivi, concerti, spettacoli, eventi di massa, feste, fiere e mercati che sono stati il nutrimento delle nostre anime (quei riti ci nutrivano davvero?) o, di converso, dobbiamo immaginare nuove forme e spazi di aggregazione in cui sentirci più protetti? Ai creativi il compito di inventare “filtri”, ovvero i medium, le condizioni spaziali o i dispositivi che ci proteggano senza impedirci di starci accanto.

La nuova unità di misura sarà la gittata della nostra saliva, o meglio la sfera costruita su quel raggio, la distanza di sicurezza che è già diventata norma misuratrice.

Un tema antropologico-sociale.

La contrapposizione fra il globalismo, stigmatizzato nelle metropoli-megalopoli senza confini che si amplia all’intero globo ramificandosi nella Rete virtuale, mentre mostra le sue distopie proprio nella necessità di contemperare grandi masse di utenti in difficoltà di accesso, e il localismo più estremo, che osanna politiche protezionistiche per territori sempre più circoscritti, dove riconoscersi in un’identità di valori tradizionali e rinchiudersi bastando a se stessi.
Continuerà la diaspora di questi giorni dalle metropoli di tutto il mondo? Torneremo fuori dal centro del sistema in cui ci nutrivamo, il più possibile isolati nella natura, magari raccogliendoci in nuclei di condivisione e solidarietà minime, come le famiglie allargate di un tempo? Stiamo vagheggiando un neo feudalesimo? basterà sopperire con boschi verticali e bioarchitetture urbane o dovremo rivalutare il tanto bistrattato modello wrightiano di Broadacre City?

Un tema filosofico.

Il rapporto fra la realtà fisica e fenomenica in cui è protagonista la materia da un canto e la sua immagine virtuale su rete dall’altro, dove non solo i dati e le forme assumono consistenza di bit ma anche le emozioni, fino alle istanze più spirituali. In questo paradigma la performance del papa in una piazza San Pietro assente è stata la rappresentazione di un momento o solo l’anteprima di una dimensione che trasferisce anche le energie più spirituali ad una macchina?
Se si, quali saranno le scenografie di sfondo ad un’esistenza conclusa in un pacchetto di dati dentro una memoria globale interconnessa, ubiqua ed eterna?

Un tema economico.

La possibilità di accesso ai servizi primari rischia di infrangersi in un futuro avaro di risorse. Sapremo raggiungere una redistribuzione che eviti masse di neo poveri nei livelli più infimi della nuova Blade Runner? Sapremo accantonare risorse per reinventare i nostri luoghi urbani, diradarli, prediligere i vuoti, sostituire l’esistente obsoleto e ricostruire nuove segni sulla memoria, invece di idolatrarla come feticcio decadente da marketing turistico?
Questi i primi quesiti che si pongono. A darne risposta serviranno non solo medici, ma economisti, storici, giuristi, filosofi, intellettuali, tecnici. E artisti, perché se la medicina al virus spetta ai medici la nuova utopia di convivenza civile può e deve essere immaginata, come sempre nella storia dell’umanità, prima dall’Arte.

Roma, aprile 2020.

Spazi Multipli

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